Proposta Radicale 11/12 2023
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Bobbio

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A quando la libertà dagli “spietati doveri”?

di Norberto Bobbio

Sono perfettamente d’accordo con Pannella quando dice: “…Penso che, nel momento in cui il terrorismo e la violenza inducono disperazione e sono frutto di una strategia, tutta la storia della violenza vada ripercorsa e rivista”. E ancora quando ripete: “Parlare della violenza, cosa significa se non parlare innanzi tutto della nostra illusione violenta che ci portiamo dietro minuto per minuto… L’illusione che con un momento d’ira si riuscirà a superare e a ottenere quello che sembra sfuggire quando si ha paura”. Anche a me, per quel che valga la mia testimonianza, è accaduto in questi anni di scrivere o di dire spesso le stesse cose. Il mese scorso, durante l’ultima lezione universitaria della mia vita, a un ascoltatore che mi chiedeva di esprimere la mia opinione personale sulla teoria della violenza e della mia opinione personale sulla teoria della violenza e della rivoluzione su cui ci eravamo intrattenuti nell’ultima parte del corso, risposi citando una frase di Popper: “La violenza genera violenza sempre maggiore. E le rivoluzioni violente uccidono i rivoluzionari e corrompono i loro ideali. I sopravvissuti sono soltanto i più abili specialisti nell’arte di sopravvivere”. (Rivoluzione o riforme?, Roma, Armando, 1977, p. 47). Mi pare incredibile che ci sia ancora qualcuno che pensi di svolgere un’azione politica innovatrice, ovvero, per usare un’espressione tanto pretenziosa quanto falsa, di “trasformare il mondo”, dopo che ha avuto inizio l’era atomica, senza aver capito una cosa così elementare. Che in mezzo a tanto spregiudicato e insensato abuso dell’azione violenta, spietata e inutile (per fare un esempio penso all’assassinio di Carlo Casalegno) vi sia un partito di sinistra, come il radicale, che abbia iscritto nel suo programma i principi dell’etica della nonviolenza, lo considero una buona novella (mi è permesso di dire finalmente quello che penso da tempo, anche se a sproposito? Non sono mai riuscito a capacitarmi che un partito nonviolento abbia combattuto con tanto accanimento la battaglia per la liberalizzazione dell’aborto, cioè per un atto che pure è violento, anzi è l’inizio di ogni forma di violenza dell’uomo sull’uomo, da cui tutte le altre possono di conseguenza essere giustificate. Se posso impedire con la violenza all’uomo di venire al mondo, vuol dire che la sua vita è meno che nulla, un foglio di carta, che posso stracciare quando non ne ho più bisogno).

Una volta accolto il principio etico della nonviolenza, ritengo che Pannella abbia ragione nell’affermare che “nel momento in cui il terrorismo e la violenza inducono disperazione e sono frutto di una strategia, tutta la storia della violenza va ripercorsa e rivista”. Le cose da lui dette sull’episodio di via Rasella rientrano in questa riflessione. A distanza di quasi mezzo secolo non vedo come ci si possa sottrarre a una riflessione di questo genere. Anzi ritengo che ciascuno di noi abbia il dovere di farla liberamente, senza correre il pericolo di essere accusato di essere fascista o amico dei fascisti. Guai a coloro che non sono capaci di sottoporre continuamente i fatti del passato a un esame critico, di ripiegarsi con umiltà e severità sulla propria storia e di trarne la debita lezione. Guai a chi crede nella propria unica verità e non è disposto a metterla in discussione. Di fronte al tribunale della storia non vi sono sentenze passate in giudicato.

 

Ma giudizio storico e giudizio politico non coincidono

Giudizio politico e giudizio storico non coincidono. Il giudizio politico è naturalmente parziale, è un giudizio di parte: assolve o condanna. Il giudizio storico non è un giudizio di assoluzione o di condanna: il suo scopo è di capire e far capire come sono andate le cose, perché sono andate in un modo piuttosto che in un altro; nel caso specifico di via Rasella perché in guerra totale, com’è stata l’ultima guerra mondiale, gli uomini diventano cose, e “pietà l’è morta”. Oltretutto le generazioni succedono alle generazioni. Non si può pretendere che le nuove giudichino i fatti del passato come li hanno giudicati i protagonisti. E i protagonisti non possono pretendere d’imporre la loro visione, che era di parte e non poteva non essere di parte, ai posteri. Non possiamo fare di tutti i nostri discendenti una ininterrotta stirpe di figli di Bruto. Se così fosse, non vi sarebbe posto per la riflessione storica. Vi sarebbe posto soltanto per la perpetuazione della contesa di parte.

Sia ben chiaro, nessuno pensa di rimproverare i protagonisti di aver compiuto il loro spietato dovere, quello che essi ritenevano essere il loro dovere. Non ci è difficile immaginare che siano tremate loro le mani quando si accinsero ad accendere la miccia che avrebbe prodotto la grande esplosione, e non perché avessero paura ma perché erano perfettamente consapevoli delle vittime soggettivamente innocenti che quella esplosione avrebbe creato. Sarà lecito almeno dire, ancora una volta senza timore di essere accusati di essere fascisti o amici dei fascisti, che quei trentadue soldati tedeschi morti in quell’agguato erano soggettivamente innocenti? Possiamo permetterci si credere che vivremo in una società civile soltanto quando saranno riconosciute punite unicamente le colpe soggettive e nessuno sarà costretto compiere spietati doveri?

iMagz